Tutti hanno sentito parlare almeno una volta della tremenda moria di vite europea del XIX secolo causato dalla fillossera, parassita di origine americana che distrugge l’apparato radicale della pianta, facendola perire.
Non meno dannose, ma decisamente meno celebri, sono due altre piaghe della vitis vinifera: l’oidio e la peronospora, temute e dannose malattie fungine e morbi onnipresenti della pianta. Le malattie fungine prosperano in ambiente umido, e in Piemonte ha storicamente sempre piovuto molto. È quindi spontaneo chiedersi come si facesse, prima della messa a punto dei rimedi che oggi conosciamo, a coltivare uva che potesse essere vinificata.
La risposta è tanto semplice quanto stupefacente: né la peronospora né l’oidio esistevano. Almeno non in Europa. Sorprendentemente l’oidio fu il primo turista ad affacciarsi tra i filari europei a metà dell’800; ancora prima della fillossera, con la quale però condivide luogo di origine, dal quale arrivarono in successione, dopo l’oidio, la fillossera e poi la peronospora.
Una sfida sull’orlo dell’oblio lunga circa mezzo secolo mirata a trovare una soluzione per ognuna di queste calamità. Zolfo contro l’oidio, poltiglia bordolese contro la peronospora (a base di solfato di rame e calce) e portainnesto di vite americana contro la fillossera.
Nel corso del XX secolo si è arrivati a perfezionare miscele e concentrazioni di zolfo e poltiglia bordolese, così da renderle efficaci e allo stesso tempo non tossiche. Infatti, entrambi i prodotti sono oggi previsti nel regime di agricoltura biologica, applicato ormai da molto tempo dalla Famiglia Marenco. Si tratta precisamente di prodotti non sistemici, che quindi non entrano nel circolo linfatico della pianta e lasciano il prodotto finale, il nostro vino, totalmente privo di residui chimici.
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Everyone has heard at least once about the tremendous loss of European vines in the 19th century caused by the vine phylloxera, a pest of American origin that destroys the plant’s root system, leading to its demise.
No less damaging, but definitely less famous, are two other scourges of Vitis vinifera: powdery mildew and downy mildew, feared and harmful fungal diseases that are ubiquitous in the plant. Fungal diseases thrive in humid environments, and historically, it has always rained a lot in Piedmont. It is therefore instinctive to wonder how grapes were cultivated for winemaking before the remedies we know today were developed.
The answer is as simple as astonishing: neither downy mildew nor powdery mildew existed. At least not in Europe. Surprisingly, powdery mildew was the first “tourist” to appear among European vineyards in the mid-1800s; even before phylloxera, with which it shares place of origin, from which they arrived in succession—first powdery mildew, then phylloxera, and finally downy mildew.
A challenge on the brink of oblivion that lasted about half a century and aimed to find a solution for each of these calamities: sulfur against powdery mildew, Bordeaux mixture against downy mildew (made from copper sulfate and lime), and American rootstocks against phylloxera.
Throughout the 20th century, mixtures and concentrations of sulfur and Bordeaux mixture were perfected to make them effective while remaining non-toxic. In fact, both products are today included in organic farming practices, which the Marenco family has been applying for a long time. These are precisely non-systemic products, meaning they do not enter the plant’s vascular system, leaving the final product—our wine—completely free of chemical residues.